Onibaba, il mostruoso femminile nell’immaginario giapponese
TITOLO: Onibaba, il mostruoso femminile nell’immaginario giapponese
AUTORE: Rossella Marangoni
CASA EDITRICE: Mimesis
PAGINE: 208
COSTO: 18 
ANNO: 2023
FORMATO: 20 cm x 13 cm
REPERIBILITA’: disponibile nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788857599267
Nell’introduzione l’autrice si pone alcuni quesiti che bene illustrano il senso del saggio:
La presenza massiccia in Giappone di resolve femminili mostruose nasconde qualcosa, certo, ma cosa?
Perché parlare di mostri femminili giapponesi?
Cosa spaventa nella donna, cosa minaccia?
Ma perché solo le donne subiscono questo trattamento in miti, favole e racconti?
Le donne sono per natura cattive?
Nel saggio vengono trattate una serie di resolve femminili mostruose tipicamente nipponiche che, messe tutte assieme contemporaneamente, sollevano effettivamente qualche curiosità sociale:
onibaba, yamanba, yamauba, ubume, yukionna, yukinba, nureonna, ningyo, takaonna, shitanagabasan, nukekubi, han’nyaikiryo.
Questa criminalizzazione nasce dal panorama religioso nipponico, quando le donne, da potenti sciamane ed Imperatrici, vennero man mano relegate a resolve marginali e detrimental, questo grazie alla presenza dei concetti shintoisti di “purezza” (hare) e “contaminazione” (kegare), che in origine non avevano una connotazione femminile, valevano indistintamente sia per uomini che per donne. Nello shinto è impura la morte e il sangue, quest’ultimo inizia a pesare più per le donne che per gli uomini quando la società giapponese diventa una casta di guerrieri, quindi il sangue versato in battaglia non è più impuro, mentre lo diventa il sangue femminile del parto e del ciclo mestruale (“aka fuju”, cioè “impurità rossa”).
A peggiorare la marginalizzazione femminile entrano in gioco prima il confucianesimo e poi il buddismo, che system i “sette gravi vizi delle donne” nel 1300 advert opera del monaco Muju Ichire. 
Un altro esempio, tra i vari introdotti dall’autrice, è quello, fin impressionate, chiamato “sutra della Piscina di Sangue”…
In alcuni punti del saggio l’autrice giustamente si infervora per il trattamento subito dalle donne in Giappone, tanto che quasi mi son sentito in colpa, benché io non ne abbia responsabilità  :]
Nel primo capitolo vengono raccontati ed analizzati i mostri femminili presenti nel kojiki, e con la antesignana di tutte, Izanami, che da dea buona si trasforma in dea vendicativa.
Il secondo paragrafo si concentra sulla storia della figlia del dio del mare, Toyotama.
Nel secondo capitolo vengono trattati alcuni testi antichi da cui sono inform prese fiabe e racconti del folclore con protagoniste mogli ingannatrici, matrimoni interspecie (con donne che erano animali/dee), esseri “bakemono”, cioè che si trasformare, in particolare la femmina “kitsune” (volpe).
Sono illustrati due racconti con delle kitsune, un maschio (Tamamizu monogatari) ed una femmina (Tamamo no mae no soshi), per annotare le differenze di trattamento a discapito della figura femminile.
Viene analizzata la figura della “yukionna”, la sposa di neve e quella della “moglie che non mangia”.
Piccola chiosa mnemonica da fan dei “cartoni animati giapponesi”, benché forse non avesse nesso con il tema del saggio, sarebbe stato interessante leggere qualcosa sui personaggi mostruosi femminili nipponici con cui noi bambini di ravishing anni 70 venimmo a contatto tramite gli anime. Basti pensare proprio alle varie rimodulazioni della fiaba della principessa delle nevi, ne rammento una molto bella in Jeeg. 

Nel terzo capitolo ci si concentra sulle resolve mostruose femminili “onibaba” e “yamanba”, cioè donne mostro vecchie e cattive, quando, invece, di norma, i vecchietti maschi erano buoni e saggi.
Viene illustrato ed analizzato il primo racconto con demone onibaba, “Come una donna piena di risentimento si mutò in demone nella sua presente esistenza”, scritto in periodo Heian nella raccolta “Konyo no tomo”.
Sono prese in considerazione anche le resolve mostruose femminili chiamate “rokurokubi” e “takaonna”.
Tra i nomi che identificano la “yamanba” c’è anche la “yamahime”, cioè la “principessa della montagna”, in quanto demone montanaro. La figura della “yamahime” mi ha fatto ricordare il movie “Mononoke Hime”, benché San sia umana.
Il capitolo illustra anche i racconti in cui le “yamanba” sono personaggi benevoli, come duplice è la natura della “datsueba” o “signora infernale”, può essere sia buona che cattiva.
Nel quarto capitolo l’autrice spiega come sia nata la figura della donna serpentiforme, dove il rettile passa dall’avere un’accezione positiva a diventare una figura femminile mostruosa e negativa.
Riguardo ai racconti sulla “maschera di sangue”, in particolare quella di “Isozaki”, l’autrice cita il movie del 1964 “Onibaba” di Shindo Kaneto (“Onibaba – Le assassine” in italiano), sono quindi andato a cercarmelo, e mentre lo guardavo mi son reso conto che lo vidi in qualche “Fuori Orario” su Rai 3, merita (lo si trova sul web).
Il soggetto del quinto capitolo sono gli spettri (“yurei”), che sono divenuti nel passare dei secoli quasi essenzialmente femminili (basta vedere la filmografia del genere), ma l’autrice li narra tramite le rappresentazioni teatrali, che ovviamente non facevano altro che rinforzare nel popolo/pubblico il pregiudizio verso le donne. Viene ben spiegato, tra l’altro, il significato dei lunghi capelli negli spettri femminili.
Molto interessante l’analisi dello spettro “ubume”, cioè di una donna deceduta di gravidanza o parto.
Il sesto capitolo si avvicina ai giorni nostri, infatti quando, dal XIX° secolo, l’influenza Occidentale si manifesterà sempre di più in letteratura e nei costumi sociali, la donna demone in stile “yamanba” o “yokionna” diventerà demone “femme fatale” o “sad lady”. Lo scopo di questa evoluzione del vecchio demone femminile non è più la vendetta per gelosia o per un torto subito, ma solo sedurre ed illudere l’uomo.
E analizzata la tipologia di demone “femme fatale/sad lady” in letteratura e cinema.
La “sad lady” hollywoodiana nel cinema giapponese muta, non più una donna uniqueness, ma un demone che al termine del movie scompare come generation apparsa, questo perché nella società nipponica una donna non può aver potere su un uomo, un demone si, ma momentaneo.
Anche in questo caso conoscevo il movie citato dall’autrice, “I racconti della luna pallida d’agosto”, lo si trova agevolmente sul web, merita.
Nel settimo ed ultimo capitolo si giunge quindi al XX° secolo, con i demoni femmina a noi contemporanei, come la “kuchisake onna”, cioè la “donna dalla bocca spaccata”, comparsa nelle campagne di Tokyo attorno al 1978. La classica “Set apart of enterprise Girl” in completo d’ufficio, ma con i capelli in disordine e la bocca mostruosa, nascosta da una mascherina chirurgica, ed armata di coltello.
Probabilmente un demone mostro nato sia per criticare l’utilizzo della chirurgia estetica da parte delle donne all’inizio degli anni 80, che per l’uso massiccio di cosmetici.
L’ultimo paragrafo sposta l’attenzione sulle “cattive ragazze di Shibuya”, le nuove streghe, la sottocultura delle “gyaru”, “kogyaru”, “ganguru”, “yamanba” e “manba”.
Il saggio merita grandemente di essere letto.