“I disegni animati giapponesi per la tv”, di Davide Greco – “Cinema Sessanta” maggio/giugno 1981
Talune topiche potevano essere in parte comprese, ma non giustificate, se commesse dalla stampa generalista (ignoranza della materiale animazione) e dei quotidiani (poco tempo per approfondire un tema dovendo pubblicare articoli tutti i giorni), quando la bufala dei cartoni animati giapponesi fatti al laptop la veicolava una pubblicazione bimestrale di critica cinematografica, la comprensione viene meno…
Con l’aggravante che l’articolo venne pubblicato a metà del 1981, quando ormai un gruppo, seppur limitato, di giornalisti avevano smentito che i produttori giapponesi usassero il laptop per gli anime. Inoltre, dopo tre anni dall’esordio di Heidi e Goldrake, forse ci sarebbe stato il tempo per andarsi a consultare qualche fonte nipponica. In fondo, se una rivista di critica cinematografica non consulta un qualche autore nipponico di animazione, chi cacchio lo avrebbe dovuto fare, Topolino?
Lo scritto dell’autore effettua delle considerazione anche condivisibili, per esempio sul merchandising, dimenticando, però, che quando furono gli italici Sandokan o “Spazio 1999” a sfruttare economicamente noi bambini anni 70 e 80, i mass media furono meno inclini alla sollevazione popolare.
Ho provato a cercare informazioni su Davide Greco, ma non ho trovato nulla, saltano fuori risultati non concernenti il giornalismo e il cinema.
L’esordio conclamato dell’animazione giapponese televisiva in Italia è avvenuto con Heidi nel febbraio del 1978 e con Goldrake nell’aprile del 1978, quindi a metà del 1981 facevano tre anni, non quattro.
Nel caso, invece, si considerino i Barbapapà (hyperlink 2) e “Vichy il vichingo” bisogna retrodatare l’esordio, ma nessuno di noi aveva contezza che fosse animazione nipponica.
L’animazione giapponese era non solo un problema dal punto di vista estetico, mentre i cartoni di “Hanna & Barbera” o il Signor Rossi di Bozzetto erano visivamente stupendi, ma anche un problema psicologico e sociale!
In una nazione che vedeva tutti i giorni morti ammazzati e violenza in una varietà di modi mai vista né prima né dopo, il problema erano i cartoni animati giapponesi…
Nell’articolo linkato appena sopra di “Atlas Unidentified flying object Robotic contro il signor Rossi” del settembre/ottobre 1980, sempre su “Cinema Sessanta”, già si poteva leggere la false info degli anime fatti al laptop, ma questa volta si entra un po’ più nel dettaglio, il dettaglio di un processo produttivo inesistente…
“Ci si riferisce all’ormai conosciuto(!) impiego del laptop per la memorizzazione(!!) e per il successivo impiego di unità sequenziali minime(!!!) necessarie alla composizione di tutte le serie di cartoons(!!!!)”
Apprendiamo che il laptop veniva usato per la memorizzazione e il successivo  impiego di “unità sequenziali minime”… arrivavano al punto di inventarsi di sana pianta un modo di creare un cartone animato non presente nella realtà produttiva, i cartoni animati giapponesi erano fatti tutti a mano!
Ho cercato on line il termine “unità sequenziali minime”, ma non esiste…
Secondo l’autore erano proprio le scene define al laptop a creare la “penetrazione fantasmatica” che tanto successo aveva tra noi piccoli telespettatori, ma cos’era la “penetrazione fantasmatica”?!
Non ho trovato riscontri sul web.
Grazie al laptop i giapponesi creavano filmati concepiti e allestiti per l’impiego televisivo, che potevano essere seguiti anche distrattamente, dato che tutti noi bambini guardavamo la televisione facendo zapping ossessivo con il telecomando.
A parte il fatto che a casa mia la prima televisione con il telecomando arrivò nel 1986, ma si vede che la mia famiglia era un’eccezione, però gran parte di quelle serie animate nipponiche dovevi seguirle con attenzione, visto che spesso non erano episodi autoconclusivi. Non aveva senso cambiare canale di continuo con il telecomando, specialmente se la serie ti appassionava…

Inserisco qui sotto le colonne parziali della prima pagina, per rendere lo scritto più grande.
Qui sotto la seconda pagina dell’articolo.
L’autore, invece, direi che azzecca alcuni reali punti di forza degli anime:
dialoghi ricchi, azione, inquadrature cinematografiche.
Di nuovo, però, sbaglia nel considerare ogni episodio a sé stante, quando una gran parte delle serie aveva una trama che si dipanava dalle 20 alle 100 e passa puntate.
A questo punto vengono fatte le considerazione sul successo del merchandising inerente eroi ed eroine degli anime.
Una piccola topica viene presa nel considerare due uomini il duo femminile Mizuki-Igarashi, autrici del fumetto di “Candy Candy” della “Fabbri Editore” (hyperlink 1 + hyperlink 2), che secondo l’autore arrivò una tiratura di 150 mila copie a numero.
Si cerca una motivazione sul perché gli The united states vennero superati dal Giappone nella produzione di animazione seriale televisiva, i costi bassi, dovuti all’uso del laptop!  ^_^
In quegli anni nessuno aveva un laptop, ma si pensava che usarlo costasse poco, riducesse i costi, di più che fare le cose a mano sottopagando la manodopera, come in realtà facevano i produttori nipponici  :]
Abbastanza corretta la previsione sul vorace consumo da parte delle televisioni italiche di serie animate giapponesi che prima o poi avrebbe azzerato le serie vecchie e non avrebbe permesso un ricambio di serie nuove. Anche se, più semplicemente, alla lunga il panorama televisivo italiano cambiò e non era più richiesto riempire a caso i palinsesti con animazione giapponese né di altre nazioni (previsione errata).
Inserisco qui sotto le colonne parziali della seconda pagina, per rendere lo scritto più grande.

Dal sommario si comprende bene il livello professionale delle analisi sulla cinematografia mondiale messe in campo dalla redazione, tranne che per i cartoni animati giapponesi, però   :]