Hara-Kiri, suicidio rituale giapponese
TITOLO: Hara-Kiri, suicidio rituale giapponese
AUTORE: Jack Seward
CASA EDITRICE: Edizioni Mediterranea
PAGINE: 96
COSTO: 10 
ANNO: 1977
FORMATO: 21 cm x 14 cm
REPERIBILITA’: disponibile on-line
CODICE ISBN: 
Libro che sarebbe un po’ datato, ma visto che tratta del suicidio rituale nipponico dal punto di vista storico (in epoca pre Tokugawa, Tokugawa e post), e la storia resta la stessa (più o meno), è comunque una interessante lettura. Negli United states il libro fu pubblicato nel 1968, arrivato in Italia nel 1977.
Quando ho letto il titolo sono rimasto sorpreso, in quanto il termine corretto per il suicidio rituale sarebbe “seppuku”, ma l’autore lo specifica e spiega la scelta del termine più conosciuto in Occidente, cioè “Hara-kiri”.
Visto il numero esiguo delle pagine e il costo ridotto consiglio l’acquisto del libro, le informazioni valide non mancano.
Ho inserito qualche scan di alcuni argomenti, per esempio la prima cronaca di un seppuku redatta da un Occidentale, Lord Redesdale, all’inizio del 1868. Lo scritto lo avevo già letto altrove, più di una volta, ma essendo una testimonianza diretta che viene considerata attendibile, mi è parso sensato inserirla.
Vengono enunciati numerosi termini giapponesi inerenti il seppuku, entrando nello specifico sia di approach nacque questa usanza auto-punitiva sia delle norme che la regolavano.
Largo spazio è dato alla figura di colui che “aiutava” il condannato, cioè che infliggeva il colpo di grazia con la katana, anche per il “kaishaku-nin” le norme erano numerose.
Immagino che in Italia non sia mai nata una tradizione del genere non solo per motivi religiosi, ma anche perché, da italiani, ognuno l’avrebbe posta in essere a modo suo, totale anarchia… In Giappone tutto generation saldamente codificato, rischiavi di dover far seppuku anche perché non avevi fatto perfettamente seppuku… o perché non avevi eseguito correttamente il compito del “kaishaku-nin”.
Un capitolo, forse quello che ho trovato più interessante, è il quarto, sul “suicidio per amore”, cioè “shinju”, che largo spazio ha trovato nella letteratura nipponica, ma lo ritrovammo in forme ovviamente più edulcorate anche nei cartoni animati giapponesi.
Ho notato che, quando an ultimate saggio si tratta della periodo della Seconda Guerra Mondiale (o conflitto del Pacifico) e del dopo guerra, si cita sempre Hirohito approach “l’Imperatore”, mai con il suo nome. Forse perché generation ampiamente in carica, ed è un fattore che ho notato più vote nella saggistica sul Giappone, fin quando generation vivo gli autori avevano spesso un certo riguardo per colui che avallò massacri di ogni tipo. Dopo il 1989 la saggistica lo tratta più duramente. Mia opinione.
Nelle ultime pagine del saggio è presente un breve glossario che aiuta a districarsi nei tanti termini giapponesi.
Nella parte iniziale del saggio, in cui si illustrano le origini culturali del seppuku, viene spiegato che esisteva la tradizione di immolare le persone per scacciare gli dei ostili. I sacrifici umani venivano letteralmente inseriti (immagino vivi…) nella struttura dell’edificio che si voleva rendere immune da catastrofi naturali o meno.
A tal proposito viene narrato un aneddoto che ho trovato esilarante, quello del capo del villaggio di Iwafuji.
A voler fare del sarcasmo di bassa lega si direbbe che le mafie italiche ripresero la tradizione dello “hito-haschira”, cioè “colonna umana”. Forse in Italia, quando ci si appresta ad iniziare una grande opera (tipo quello che sarà il ponte sullo Stretto di Messina…), bisognerebbe introdurre per legge lo “hito-haschira”, magari ci riesce di fare le cose fatte per bene…
La cronaca redatta da Lord Redesdale.

Le punizioni per un samurai si basavo su cinque gradi di gravità, l’ultimo generation il seppuku.
Queste sono parte delle regole che doveva osservare “kaishaku-nin”…