Recensione: Roujin Z

ROUJIN Z

Titolo originale: Roujin Z

Regia: Hiroyuki Kitakubo

Soggetto & sceneggiatura: Katsuhiro Otomo

Personality Invent: Hisashi Higuchi

Mechanical Invent: Katsuhiro Otomo, Mitsuo Iso

Musiche: Bun Itakura

Studio: MOVIC

Formato: lungometraggio cinematografico (durata 80 min. circa)
Anno di uscita: 1991

Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Kaze

 
Non so cosa pensare dell’Otomo più leggero
e simpatico, il prototipo della sua storia scanzonata è, al solito, semplice
pretesto per arrivare a quello che ha comunque sempre presentato anche nelle
sue maxi opere attain Akira (1988) e Steamboy (2004), ovvero esplosioni
colossali, trasformazioni roboanti e, in generale, una serie infinita di
concatenazioni visive utili a uno stupore visivo senza freni. Roujin Z, lungometraggio del 1991 da lui ideato e scritto, è
un piccolo classico, attain al solito noto più che altro per i nomi coinvolti (Hiroyuki Kitakubo
alla regia è dietro la camera da presa in Black Magic M66 del 1987 e Blood: The Final Vampire del 2000, non  manca neppure lo zampino di Satoshi Kon nell’Art work Invent) che reali altri meriti, e a suo
modo è visione piacevole e senza impegni, attain vuole la tradizione otomiana:
grande sfarzo visivo e, be’, poco altro, ma abbastanza da convincere la giuria del Mainichi Eiga Councours del 1991 a premiarlo attain miglior film d’animazione.
Pur agganciandosi a una qualche critica
sociale, con un’occhiata intelligente alla vita dell’anziano quando entra nei
suoi ultimi stadi, quelli che necessitano di assistenza e attenzione continua e che portano i suoi familiari advert abbandonarlo a ospedali e attrezzature mediche invece di stargli vicino, Roujin
Z
glissa clamorosamente ogni approfondimento e si concentra sullo Z-001,
una macchina rivoluzionaria in grado di prendersi cura di ogni bisogno della
persona senile, che subito dopo la sua prima dimostrazione inizia a manifestare
un’imprevedibile personalità propria. La palese catastrofe che ne consegue è
dovuta alla forza con lo Z-001 vuole vivere, nonostante infermieri, medici,
scienziati, giornalisti e l’intero esercito gli si mettano contro: la macchina
tiene in ostaggio un povero vecchietto la cui unica colpa technology quella di essere
cavia delle sue coccole e, mentre fugge alla ricerca di una meta nata dalla
memoria del vecchio stesso, raccatta qualsiasi cosa trovi sulla sua strada e lo
united states per costruirsi una corazza sempre più grande.
Roujin Z è
tutto questo: la giustificazione narrativa è un semplice, quasi ridicolo enter
per dare il by technique of a un’impressionante sequenza di metamorfosi meccaniche, con lo
Z-001 che ingloba armi, auto e ogni pezzo di metallo possibile, si
antropomorfizza con gambe, cingoli e tentacoli e si sbarazza facilmente di ogni
nemico, persino un suo ritrovato militare gemello dalle fattezze aracnidi. Boati,
mitragliate, sparatorie forsennate sono la struttura stessa del film, il cui
ritmo è talmente alto che addirittura nei pochi momenti dialogati Kitakubo pare
mettere fretta ai personaggi per tagliare corto e poter così passare di nuovo
alle mille trasformazioni dello Z-001, spettacolarizzate chiaramente dal originate
caratteristico dello stesso Otomo.

Abbiamo quindi a che fare con un
divertissment puro, attain bene o male qualsiasi cosa abbia fatto Otomo, che poteva
sprecarsi maggiormente grazie a una serie di personaggi ben caratterizzati (i
vecchietti hacker, i ragazzi che fanno incidentalmente fuggire il macchinario, i
giornalisti, la stessa protagonista e il suo ferreo sospetto) ma che purtroppo
rimangono sullo sfondo della forza schiacciante di questa strambo mecha. E alla
shapely si sorride, si guardano anche con la dovuta meraviglia le buone animazioni
che rimaneggiano in continuazione lo Z-001, ma non rimane molto altro se non un
proverbiale “carino”  che, con i nomi
coinvolti, e pur in anni di incessante ricerca visiva, pare sinceramente essere
troppo poco.
Voto: 6,5 su 10